[la Pagina del Capitano]

sábado, diciembre 28, 2002


Poca voglia di scrivere in questo periodo, oberato dal cibo natalizio (tortelli di zucca su tutto) e annoiato da visioni e ascolti non particolarmente stimolanti.
Fra quest’ultimi due CD “nuovi”, entrambi colonne sonore del jazzista argentino Lalo Schifrin: Bullitt e Dirty Harry Anthology.
Bullitt (Warner Bros, 1968), la più famosa delle due, delude nell’alternare ai momenti esaltanti altri che lo sono decisamente meno, raggiungendo a stento la sufficienza: alle ottime e ritmate “Hotel Daniels” e “Bullitt Theme”, si accostano brani jazz buoni per tutte le stagioni come orchestrazioni soffuse e un po’ generiche, che non stonerebbero in una commedia romantica. Trattandosi di una colonna sonora si può certamente giustificare il fatto che, semplicemente per esigenze di copione, ci siano delle diseguaglianze di toni, ma nell’economia dell’album la cosa si traduce in una fastidiosa disomogeneità.
Questo rischio non lo corre Dirty Harry Anthology (Aleph, 1998), che raccoglie una selezione di brani tratti da “Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo” del ’71, “Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan”, del ‘73 e “Coraggio…fatti ammazzare” del ’76; di questi solo il terzo vide pubblicata la sua colonna sonora, per cui la maggior parte dei brani qui presenti sono inediti.
Il lavoro è ineccepibile, si è dalle parti del capolavoro: jazz sempre presente sotto traccia, percussioni che prima impazzano e poi tacciono improvvisamente, chitarre che compiono rapide incursioni, basso che si effetta e sconfina nel funk, qua e là inserti di sirene, comunicazioni radio, sinistri cori femminili. Le composizioni che nascono, scarne e ruvide con solo rari attimi di pace, fissano i canoni dello score per il poliziesco anni ’70 e danno vita a uno stile cinematico e ultracool che farà numerosi proseliti (il James Taylor Quartet su tutti). Questo, tuttavia, il limite dell’operazione: l’esperto Schifrin, da anni al servizio degli studios, compone la colonna sonora perfetta, per certi versi più vera del vero, ma proprio per questo, paradossalmente, mancante di quel coefficiente di realtà che vivificava le contemporanee musiche di Shaft e Superfly. Nel suo genere, comunque, un capolavoro.


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