[la Pagina del Capitano]

domingo, agosto 31, 2003


“A meno che l’errore non stia a monte, nel considerare il blog come una semplice versione telematica della ‘zine. Ci dovrò pensare.”

Così finiva, più di cinque mesi fa, l’ultimo post di questo blog. Non è più ripreso. È naturale. Non che non ci abbia più pensato, è che il problema è diventato irrilevante.

“mal di testa ? problemi di stomaco ? fatevi un giro su un qualche weblog italiano: peggiorerà, garantito.
cattiveria: il blog ha rotto il cazzo. l'ostentazione del se, ed il voler seguire il trend "ora mi faccio un blog" ha rotto...”

- fabio the|mini|editor tempo : lunedì, agosto 18, 2003

Ecco il perché. A prescindere da cosa sia, da dove venga, cosa voglia (ma qualche blogger se l’è mai chiesto?!), il blog non serve (più?) a niente. Non serve più parlarne. Il blog è una partita persa.
Ammesso che nel suo DNA ci sia qualcosa di rivoluzionario (passatemi il termine), beh, si è perso da tempo. Quello che si legge non crea dibattito, non dà informazioni, non muove un passo più in là del semplice “è così che mi va la vita, ho comprato questi dischi”.
Giusto i giornalisti, sempre attenti al portafogli, vedendosi sorpassati a destra da “dilettanti dell’informazione”, possono considerare i blog pericolosi. Eh, magari...

È che, probabilmente, non esiste una maniera buona di usare il blog: la deriva egocentrica è inevitabile. L’intento principale di tutti, dichiarato o no, è “LEGGIMI”, senza riguardo ai contenuti, agli argomenti, agli eventuali sviluppi. Che al limite possono esistere, ma sono effetti collaterali. Stando così le cose, il discorso è falsato in partenza.

Partita persa. Silenzio stampa.

Questo, mi pare ovvio, è l’ultimo aggiornamento di questo blog; non so davvero cosa potrei aggiungere, non so neppure se ne varrebbe la pena. È nella natura delle cose: se i blog fanno cagare, è inutile tenere un blog. Detto fatto.



“Troppi giorni e più niente da dire”
Creepshow, 1991 (circa)


domingo, marzo 23, 2003


Anche stavolta è passata qualche settimana dall’ultimo post. In questo lasso di tempo il nuovo numero de La Mini, al centro di tante discussioni, è uscito sul web, secondo le previsioni.
Al di là delle questioni economiche mi sembra una cosa giusta, è qui che si gioca la partita: dobbiamo comunicare... la gente è su internet, allora comunichiamo l?, dove c'è la gente (Fabio).
Resta tuttavia, insuperabile, il problema dell’inflazione che rischia di far perdere le ‘zine e i blog validi nel mare delle pubblicazioni inutili della rete.
In questi giorni c’è stata, sul forum di Fastidis, una discussione su una questione analoga, seppur relativa ai dischi. L’aumento della produzione in Italia, nel giro punk/hardcore/indie ha causato un abbassamento della qualità media?
C’è chi dice di s?: ci si trova ad avere un’infinita scelta fra prodotti in gran maggioranza mediocri.
C’è chi dice no: l’aumento della produzione ha semplicemente messo in gioco più gruppi e permesso più confronti, per cui è solo più difficile scovarli, ma nel complesso la qualità di quelli validi, stimolati dal confronto, è migliorata.

Tuttavia il discorso vale per il disco non vale necessariamente anche per il blog, sia per la differenza fra i due media, sia per una mancanza di esperienza a svantaggio del secondo.
Mi spiego: un disco anche se imperfetto, e magari derivativo, pu? essere il primo passo dell’evoluzione personale del gruppo, ed essere un tassello verso una forma compiuta e originale. Una testimonianza interessante, dunque; ammetto di amare molto più i dischi “imperfetti” o non del tutto risolti, fotografie di works in progress, piuttosto che certi esempi di impeccabile freddezza.
Invece il blog, tendenzialmente, arriva come è partito. Se è un diario è un diario e prosegue in maniera catalogica, evidenziando raramente un’evoluzione da parte dell’autore. Stessa cosa vale per quelli di recensioni, o altri simili. Ribadisco, è diverso il media e forse la gioventù non permette di tirare conclusioni definitive. Oppure la cosa pu? essere dovuta a una mancanza di confronto.
Ma se penso a fanzine come abBestia!, Nessuno Schema, enphasys, la stessa Non Ce N’è, fra i primi e gli ultimi numeri c’è un abisso, l’evoluzione è evidentissima.
A meno che l’errore non stia a monte, nel considerare il blog come una semplice versione telematica della ‘zine. Ci dovr? pensare.

E se volete avere una degna colonna sonora di quello che sta succedendo su questo blog (ammesso e non concesso che io stesso capisca dove sto andando a parare), scaricatevi gli mp3 di I/O sul sito della Ebria Records.


domingo, marzo 02, 2003


Nel continuare l’indagine mi era balenata quella che mi sembrava essere un’idea geniale: andare a ripescare il primo post di alcuni blog e vedere come i vari autori si presentavano e presentavano la loro iniziativa.
Appunto, “mi sembrava”. In realtà, fra quelli che ho visitato, quasi nessuno si è posto il problema di andare oltre un semplice “eccomi qua”. Il fatto è che almeno la metà dei blog tratta argomenti strettamente personali, (l’altra metà si divide in recensioni di diverso genere, impressioni su vari argomenti, storielle più o meno divertenti) per cui, evidentemente, gli autori danno per scontato che il blog sia una specie di diario su cui annotare impressioni ed esperienze personali mettendole a disposizione di tutti. Nella peggior tradizione delle peggiori ‘zine emo, insomma (non a caso Rumore, in maniera un po’ discutibile, collega il fenomeno blog con l’indie rock e dintorni).
Ovviamente nessuno è obbligato a leggere queste cose, ma quello che mi interessa, per ovvie ragioni, è il punto di vista dell’editore. Davvero è convinto di scrivere cose che interessino a qualcuno? Ha dei riscontri in tal senso? Ripesco una citazione fatta qualche riga sotto “comunicare, comunicare, comunicare, è davvero tutto qui?”. E rispondo: no. O almeno bisogna fare dei distinguo. Innanzitutto, comunicare cosa?

Di blog si è parlato molto ultimamente sui giornali, il già citato Rumore, Duel, La Repubblica, solo per fare alcuni nomi, e spesso si è messo in luce il potenziale rivoluzionario di tale mezzo informativo dal basso. Ma perché questo avvenga, perché sia realmente rivoluzionario, bisogna che abbia la capacità di rappresentare esperienze comuni, su cui si possa creare un minimo di discussione (l’essere mollati dalla morosa quindi è escluso), altrimenti dov’è il senso? La possibilità di esprimere sé stessi e le proprie opinioni può essere rivoluzionaria, ma è un attimo rendere il tutto inutile. Diceva Aiki che nel leggere i blog le piace, fra le alte cose, notare il narcisismo dell’autore; il fatto che spesso è solo quello ad emergere, e a prescindere dai contenuti.
Un milione di anni fa i Downcast, nel libretto allegato al loro LP, scrivevano che l’hardcore non è una minaccia […] È moda e pomposità, spesso niente più di qualche numero di meschino ego all’interno di un circolo e raramente qualcosa più di manifestazioni di autocompiacimento. Ora il discorso non riguarda più una scena ristretta, i mezzi di comunicazione sono cambiati, la visibilità non è più solo appannaggio dei soliti noti; eppure quel discorso resta ancora valido.


viernes, febrero 21, 2003


Le squadre rientrano sul terreno di gioco. Si riparte e subito Charlie mette in campo un calcio totale come neanche l’Olanda nel ‘78. Io cerco di arginarlo.

[Charlie] ci si trova di fronte due cose completamente diverse, che forse partono dagli stessi presupposti, forse hanno gli stessi obbiettivi, ma il loro percorso è completamente diverso. fanzine su carta e fanzine elettroniche. sono passati anni da quando in Italia uscivano venti fanzine nuove nel giro di un mese. molte duravano come si è detto lo spazio di un paio di numeri. anzi, la maggior parte. altre invece continuavano incuranti di tutto. […]ne uscivano mille ma c'erano quelle di riferimento. che le potevi contare sulle dita delle mani. quali, abbestia, enphasys, nessuno schema, fist, karta kanta, non ce n'è, zips and chains, le gratuit pour le poulette (se si scrive così).


[Io] una constatazione fondamentale, la più illuminante di tutto il post: nell’età dell’oro delle ‘zine italiane c’erano quelle di riferimento, una bella serie di ‘zine sopra la media (per qualità, tradizione, innovazione…) nonostante l’inflazionamento del genere; anzi, spesso facevano da guida, pietra di paragone e punto di riferimento, dato che bene o male erano conosciute da tutti.
Ora nel web, molto più inflazionato del mondo fanzinaro di alcuni anni fa, è molto più difficile orientarsi e facilmente una cosa bella e originale si perde nel marasma generale.



[Charlie] sono cambiate mille cose, forse non solo esternamente. cioè, è anche cambiato in qualche maniera il modo di viverle. fare/leggere una fanzine su una carta era sicuramente tutta un'altra cosa. non dico che fosse meglio o peggio, ma era proprio un'altra cosa. il fatto che potessi toccare con mano quello che leggevo, l'importanza che la veste grafica assumeva nell'insieme, l'urgenza che c'era dietro alcune pubblicazioni sono cose che nel web faccio difficoltà a riscontrare.
[…]avevi un rapporto diretto con chi scriveva, o con chi la vendeva. chi aveva una fanzine sapeva quante copie ne aveva fatte girare, quante gliene erano rimaste e così via. insomma, dietro una fanzine, c'era un rapporto. questo viene un po' a cadere nel web. ma non perché non si possono creare rapporti o relazioni dietro due parole, ma perché la facilità di scrivere due righe rende più scontato tutto



[Io] Un po’ dubbioso mi lascia il discorso sulla maggior umanità delle ‘zine cartacee, che torna spesso. Sarà banale, ma qui il punto centrale mi sembrano essere i contenuti e lo stile di scrittura dell’”editore” (e, perché no, anche le sue capacità grafiche); se sa tradurre le emozioni in parole/immagini il prodotto è buono, altrimenti no. Non è la stessa cosa su carta e in rete? La ‘zine di un punkabbestia in puro stile “taglia&incolla1977” con slogan politici dettati da una sana passione per i Crass e da una sacrosanta avversione verso la società sarà al 100% sincera, ma al 200% inutile e triste.


[Charlie] tra due strade ovviamente si sceglie la più facile, perché una fanzine costa più di una connessione […]ma così facendo l'impressione è che anche le cose su internet non si leggano. se una qualsiasi fanzine davvero bella che usciva qualche anno fa su carta venisse pubblicata oggi come blog o ezine, non sono sicuro che avrebbe lo stesso riscontro che aveva avuto ai tempi. quando te la compravi, invece, la fanzine te la leggevi sul serio. un po' perché volevi ripagarti di quelle che allora non erano più di duemila lire e un po' perché eri curioso.
[…] l'ultima che ho letto è stata permanent vacation e l'ho trovata ricca di spunti e l'ho riletta un paio di volte. su uno schermo, come forse qualcun'altro ha detto, ci avrei forse dato un'occhiata. di sicuro non l’avrei letta tutta d’un colpo come invece ho fatto su carta.



[Io] […] Charlie ha l’impressione che le cose su internet non si leggano. Non è un’impressione, probabilmente è vero. Nel casino che c’è è facile non badare alle cose più valide ed è facilissimo perdersi. Questo potrebbe essere una delle cause del nostro spaesamento e della nostra diffidenza.


[Charlie] tutte cazzate romantiche, è vero. ma partiamo dal presupposto (secondo me necessario)che tutto quello che si cerca di fare con l’indipendenza e l’autoproduzione ha come scopo quello di non presentare il disco, o la fanzine, o il libro, come un semplice prodotto di mercato e di consumo. bensì come un insieme di processi, emozioni, confronti e conflitti che hanno prodotto quello che si ha tra le mani.


[Io] per me questo è un presupposto fuorviante, o almeno ambiguo, perché non è detto che l’autoproduzione sia un merito in sé, dipende cos’è che ti arriva tra le mani (perché se è la ‘zine del punkabbestia di sopra, allora preferisco la rivista da edicola). Oltretutto non credo che le caratteristiche sopraelencate siano esclusive dell’autoproduzione. Quanti confronti e conflitti ci sono, per fare un esempio, dietro un disco politico (o anche solo “musicalmente scomodo”) che esce su major? Molti, immagino.
Sta alla capacità dell’autore/grafico/editore sapere trasmettere queste salutari tensioni e credo sia una dote; perchè non è che la forza del processo/conflitto si traduca automaticamente (magicamente?) in un buon prodotto. Il punto per me resta sempre la qualità, o se volete lo stile.


[Charlie] ma tutto questo [si sta sempre parlando dei processi e delle emozioni che dà una ‘zine cartacea] in qualche modo scompare nel web, si perde il contatto, cioè come dicevo il rapporto con quello che ci sta dietro.


[Io] Capisco cosa intende Charlie […]e riecheggia il discorso di Fabio secondo cui una ‘zine “in primis è importante a chi la fa / produce / scrive”. Questo è certamente una faccia della medaglia, ma una cosa è quello di cui sei consapevole tu come “editore” (il processo creativo, il lavoro manuale, la distribuzione, quello che, appunto, sta dietro), un altro è quello che il lettore riesce a cogliere di questo, (che, tra l’altro, mi pare c’entri abbastanza poco con “la curiosità che c’è dietro una ‘zine cartacea”: se uno è interessato e curioso lo è a prescindere dal media usato. Non c’è alcun merito intrinseco a sbattersi per trovare una ‘zine e non credo che se mi sbatto un sacco poi me la goda di più). Ed è ancora una questione di stile (come dicevano le posse di una volta).


Fabio riceve palla e detta i tempi di una nuova azione, un po’ come Platini (spiacente, non ho trovato un paragone migliore…)

[Fabio] si stia riflettendo su una serie di cose reali, che ad oggi fanno si che blog ed e zine siano ben frequentati (come accessi, come lettura/interese è impossibile saperlo) mentre le fanze restano un fatto di nicchia ma molto + umano...
[…]ora la curiosità viene esaudita con un clikck sul sito o l'invio di una mail... molto + facile, comodo, ma è umano ?
probabilmente si, perchè è cambiato il modo di rapportarci con determinate azioni, un vero cambio dei tempi, non so se positivo o no, sicuramente imposto dall'avanzare di questa malsana società moderna... ci sono 3 strade:

il luddismo verso tutto questo ed il voler rimanere attaccati all'umanità a tutti costi, eliminando computer ed altri strumenti...

il diventare dei perfetti cittadini di internet (o terzo millennio) chiusi in casa, davanti al monitor...

oppure continuare a farci domande (come qui sopra) ed andare avanti, seppur in conttradddizzzione, con i nostri dubbi, a cercare di vivere con il cuore, leggendo, scrivendo cosa ci pare...

in realtà credo ci possano essere altre strade, ma non le vedo....

probabilmente tra qualche anno, leggeremo le fanze sul pocket pc, saremo altrettanto cambiati, ma non così tanto (spero) da continuare ad essere umani...

[…]cito:
è solo cambiato il modo di esprimerlo, di concretizzarlo. in fondo ascoltiamo sempre le stesse
canzoni e tutti, ma proprio tutti, ci rileggiamo spesso e volentieri i fogli di qualche anno fa. alla fine si tratterà ancora di rifarsi un’abitudine, o magari qualcuno oserà di nuovo e farà un salto all’indietro. “è poi solo un
altro ridicolo salto.”

l'importante è andare sempre avanti.


E con questa dichiarazione in puro stile inglese siamo arrivati alla fine della partita. Il campionato è ancora lungo, tuttavia. E infatti, al di fuori del rettangolo di gioco, ecco una proposta che tenta di ricomporre la frattura, forse più un compromesso che una soluzione:

[Fabio] a riguardo del quinto mini sto maturando un'idea... + o - suggeritami da christian e sara.
la mini 5 sarà un fai da te. sul blog compaiono già il calendario, i fumetti di linda ed il photoexpo che sono 3 frammenti della mini 5, ne compariranno altri... alcuni di questi se volete, potreste crearli voi: immagini, testo, quel che volete... basta che sia in formato html o jpg in modo che io possa poi aggiungerli...
e poi, ognuna si creerà la propria copia della mini 5, prendendo i frammenti, mettendoli assieme, prendendo alcuni posts o tutti... questa parte del fai da te è da studiare... in realtà solo con i posts ce n'è una marea di cose, ed è effettivamente così era la mini su carta... in + si sono aggiunti + scriventi, + punti di vista, argomenti...
che ne dite ?


domingo, febrero 16, 2003


Come promesso ecco un (tutt’altro che) breve compendio sulla questione del blog e delle ‘zine cartacee comparsa nella mailing list de La Mini. In effetti le cose dette sono quasi tutte piuttosto interessanti, spesso illuminanti, e non mi è stato facile fare una selezione, per questa ragione ho diviso la discussione in due parti; ora pubblico la prima, la prossima settimana metterò in ordine anche la seconda.
Avevo anche pensato di dividere il testo per argomenti, visto che si è parlato non solo delle ragioni dello scrivere, ma anche di autoproduzione e del rapporto carta/web (che poi è l’argomento scatenante), ma dato che spesso gli argomenti si intrecciano in modo difficile da separare mi sono semplicemente attenuto all’ordine cronologico (salvo nei casi in cui una risposta diretta a un post arrivasse successivamente ad altri di diverso argomento). Ma andiamo a incominciare; eviterò di inserire commenti, bastano quelli che ho già fatto all’interno della mailing list e che sono qui testimoniati; parlerò alla fine dei due capitoli, eventualmente.

Questo è il messaggio che ha dato origine al tutto (all’inizio tra parentesi è il nome dell’autore):

[Fabio] oggi iniziano i lavori concreti sul rinnovo del sito della mini (dove ci sono i numeri originariamente usciti su carta) e il decidere se fare o no un quinto numero stampato. il che è il nocciolo della vicenda...

in questo periodo mi sono accorto di essere ormai distante dal mondo fanzinaro e anche da quello delle autoproduzioni, per lo meno in maniera attiva. non sono il solo... con altri si parla del passato...
si guarda all'oggi con tanti ma... quando nacque la mini, volevo dare un punto di svolta (rispetto a non ce n'è), fare qualcosa di + diretto, + pratico (il formato), in realtà in breve tempo mi sono accorto che mancavo io ed anche la gente che leggesse la fanzine […]... poi c'è stato il weblog: ha stravolto tutto, secondo me in positivo... ora pubblicare il numero 5 su carta che in realtà è quello che c'è sul web... non mi piace così tanto... mi preoccupa la produzione ($$$$) e la distribuzione.
[…]il fatto è che, se questa mailing list esiste è perchè la mini (in formato weblog) è letta e suscita interesse (un minimo, spero...), diversamente (credo) che una fanzine stampata sia davvero di nicchia...



Eccomi:

[Io] Guardare all'oggi con tanti ma e parlare del passato non è un male. Certe cose meritano di essere ricordate e portate avanti, magari con forme nuovo. Lo spirito continua, si diceva...
In questo senso sono d'accordo che una 'zine cartacea possa essere
una cosa un po' di nicchia, quasi triste per certi versi; tuttavia
ciò non toglie che alcune funzionino ancora.

Come al solito prevalgono i ma...



Una signorina, in doppia versione, si dedica al retropassaggio (non senza ragioni):

[Aiki] lo spirito continua sì. io però sto vivendo un periodo nostalgico perchè mi sembra che manchi qualche cosa di genuino a tutto.


[heidi] anche io volevo ricominciare a far uscire Lo Scolo in formato cartaceo, dopo cinque anni di letargo. poi ho desistito perché
a) costa troppo e non ho i soldi
b) a parte gli emo in Italia sembra che nessuno più legga le fanzine
c) mi faceva malinconia.
Hai presente fabio nel periodo 95-2000 in cui in Italia proliferava senza controllo quel tappeto di fanzine che si esaurivano nello spazio di due numeri. a me quel periodo manca un po'. andavi ai concerti e ai banchetti c'era sta selva di fanzine e io alla fine, non so voi, le leggevo tutte. Perchè alla fine è vero, erano inutili e fatte col culo, pero' davano testimonianza di fermento nell'ambito. erano di supporto. un supporto più attivo secondo me di un po' di blog che ci sono in giro. a me sembra che con l'avvento di internet la gente ha preso l'insana abitudine di cagare fuori dalla tazza un po' troppo spesso



Carletto si sovrappone a Fabio nel suo caratteristico stile:

[Carletto] in fin dei conti hai ragione a voler tenere la 'zine solo sul web. I tempi ormai son quelli svolazzanti dell'era nu-millennio e si leggono pure i libri sulla rete […]
non è il caso di calcare continuamente la mano sul solito nebuloso romanticismo punk, pensiamo al qui e all'adesso una volta tanto: l'importante è leggere agevolmente e in un battibaleno il nuovo
numba, trovare parole e informazioni e.. insomma, abbandonare il formato cartaceo per me non è poi un problema.



Fabio e il suo stop a seguire:

[fabio] è un problema che mi pongo, ma non soltanto io, perchè arrivo da un'esperienza diretta di fare una fanzine (anzi 2), distribuirla, conoscere gente che la legge, che la distribuisce che fa dischi, et etc... il do it yourself apparentemente sembra attaccarsi bene ad internet, ma in realtà cade in parecchie contraddizioni... deve evolversi... dobbiamo comunicare... la gente è su internet, allora comunichiamo lì, dove c'è la gente, la gente va su Marte, comunicheremo lì... non mi vanno le nicchie o il parlare a chi già sa le cose che dici o ai discepoli...


Batti e ribatti a metà campo:

[agente pAZ] si sa troppo di tutto. beata ignoranza. adesso accendo il computer e so tutto, non devo cercare più niente, mi arriva in casa. sono in tutto il mondo contemporaneamente. questo permette si un libero scambio globale di informazione, ma sono anni che non incollo francobolli. cazzo.


[fabio] in realtà siamo bombardati di informazioni del nulla o che non raccontano la realtààà in questo credo che un mezzo informativo personale quale una fanzine o un weblog (ma non solo), possono essere punti reali di infos....

anni fa c'era davvero un buon fermento perchè c'era + innocenza, + voglia, ora sono tutti appagati, c'è internet, non devi + fare in salti mortali per cercare quel disco....



Entro in tackle:

[Io] A costo di ribadire discorsi che ho già fatto: la questione non è di buttare via le vecchie 'zine, ma di tenerne conto sviluppandole in forme più attuali; lo spirito che continua, per intendersi. […]
Ma nel guardare indietro bisognerebbe usare una buona dose di senso critico, perchè non sempre, negli anni passati, la voglia di fare e la spontaneità/innocenza hanno portato a risultati buoni o anche solo significativi, anzi ho visto più 'zine inutili che gruppi cloni dei Discharge.

"comunicare, comunicare, comunicare, è davvero tutto qui?" (da una recensione di, mi pare, aBbestia!)


Federico in profondità:

[Federico] è dura. da una parte hai la gratuità completa del web, la sua immediatezza, la sua accessibilità […]dall'altra hai la necessità di possedere un computer (non tutti ce l'hanno, chiaro), e di saperlo usare […] devi anche averlo davanti nel momento in cui puoi/vuoi leggere. io lamini cartacea la leggevo in gradinata nord tra il primo e il secondo tempo delle partite, per esempio [grandissimo!!! n.d.C.] […]la fanzine di carta costa. si spreca. ma rimane.


Duro contrasto di Carletto:

[Carletto] d'accordo, la 'zine cartacea rimane "per sempre" come rimane una sacrosanta lettera di carta, ma.. accatastiamo i ricordi per dirci ogni giorno all'alzata che siamo delle brave persone o ogni giorno dovremmo spaccarci la testa per qualche cosa di diverso da vivere per stimolare i poveri neuroni ad andare un po' più in là? […]forse rimarrà sempre questo finché non ci saranno le e-zine portatili sul computer-telefonino o come optional degli occhiali da sole. voglio dire, io stamperei su carta perchè siam fatti di carne ma siam fatti anche di sensazioni strane e ideuzze e non è forse questo che conta? […]è questo che vogliamo? esser sicuri e andare a rileggere e continuamente dirsi allo specchio sono una brava persona […]metti noi che conversiamo: sarebbe possibile se usassimo la carta?

Marco stretto Federico e rilancio:

[Io] Direi che hai centrato bene una parte del problema. Certamente il passaggio carta/computer, porta dei cambiamenti negli usi e nelle abitudini (tipico caso in cui il medium è il messaggio) e non sempre vantaggiosi.
[…]Sta a valutare l’importanza dei vari fattori nell’economia del problema. Ammesso di aver capito qual è il problema. E giusto a questo proposito, secondo voi a cosa serve una fanzine?



Fabio riceve e imposta il contropiede:

[fabio] in primis è importante a chi la fa / produce / scrive... poi serve se ha dei contenuti da voler comunicare ad altra gente (ma quale altra gente, cioè la distribuzione...), e poi serve a dare informazioni alla "scena" pseudotale e anche ad alimentarla, in un certo modo...
[…]il web ? ha dei costi di partenza: computer / accesso ad internet; ma a livello di tempo è molto + economico rispetto al fare una fanzine...



Fine primo tempo. Per oggi ci si ferma qui, mi pare sia abbastanza e forse è anche troppo; spero siate riusciti ad arrivare fin qui, io faccio un po’ fatica a leggere tanto sul web (lo so, ho il fiato corto…).


domingo, febrero 09, 2003


28 giorni di niente: è record. Silenzio dovuto ai molti impegni ma soprattutto a una crisi (di quelle positive e salutari, non di quelle tristi e paranoiche), innescata dal ripensamento sulla funzione/ragione del tenere un blog. Dubbi che avevo da tempo e che solo la mia tipica pigrizia ha spinto ad aggirare, proseguendo i postaggi nel vano tentativo di migliorare forma e contenuti; una sorta di patetico processo riformista. Quello che all’inizio volevo fare erano delle recensioni significative che potessero andare un po’ oltre la materia trattata, rendendo visibile il rapporto dell’opera con una specifica realtà, illustrare un’esperienza condivisibile da altri.Credo di esserci riuscito molto raramente, un po’ per demerito mio, un po’ perché non è che dischi, libri o film che siano rappresentativi di una realtà concreta si trovino tutti i giorni (ma non è anche questa selezione sbagliata colpa mia?). Pensandoci, solo il pezzo su Torino e i Contr-Azione si è avvicinato alle mie intenzioni e forse non a caso è stato l’unico ad avere dei riscontri esterni.
Tempestivamente poi, su questo filone personale, si è innestata una discussione sulla mailing list del La Mini riguardante il rapporto/scontro fra ‘zine cartacee e telematiche, e anche qui, inevitabilmente, sono uscite le ragioni, comuni alla carta e alla rete, del perché si scriva. Ma non sol quelle; del calderone facevano parte anche: il rimpianto del passato vs. le aspettative per il futuro; il calore della carta vs. la freddezza dello schermo; il valore della ricerca vs. la comodità della reperibilità in rete; la mobilità/praticità del supporto cartaceo vs. l’obbligata sedentarietà del computer.
Davanti a una tale mole di questioni mi sono obbligatoriamente fermato. Con che risultato? A tutt’oggi non ho trovato alcuna risposta; sono ancora impegnato a riordinare le idee e le varie obiezioni, e pensavo potesse essere interessante, oltre che utile, farlo in questo spazio.
Per la prossima settimana cercherò di organizzare un compendio di quello che si è detto su La Mini ML, che ha degli spunti interessanti, poi man mano vedrò il da farsi.

Ad accompagnarmi nel viaggio saranno, in rotazione fissa sul mio stereo, gli incredibili Ronin, che tagliano l’Europa da ovest a est, dalla penisola Iberica, alla Pianura Padana ai Balcani passando, in barba alla geografia, per Twin Peaks.


P.S.: è un bel caso che, in questo momento in cui guardo un po’ avanti e un po’ indietro, tante persone che non sentivo da un po’ mi si parino davanti in nuova veste. Robertino M:R.P.N. con gli splendidi Frontiera, proseguimento coerente ma non pedissequo e nostalgico del mito dei Kina. Luca Mauri con un nuovo gruppo e una nuova etichetta, che esordisce riproponendo il lost album dei Città Sotterranea. E il Pecorari, immancabilmente logorroico e in egual misura scemo e perspicace, con una ‘zine (ehilà!) cartacea. Ben ritrovati.


domingo, enero 12, 2003


E si torna sui libri… Affascinato dal titolo che contrappone seccamente musica e politica, vinco la diffidenza verso l’ostica parola “jazz” e mi butto su Free Jazz Black Power (Einaudi, 1973) di Philippe Carles e Jean Louis Comolli.
Scritto da due francesi con un’ottica talmente “black” da risultare talvolta sconcertante, è un percorso attraverso la musica nera, indissolubilmente legata al contesto politico/sociale e alle lotte della comunità afroamericana, dai blues primordiali del tempo della schiavitù, al jazz che accompagna le prime lotte, dal soul dei tempi dell’integrazione, fino alla fine degli anni ’60, con le prospettive rivoluzionarie del free jazz e del Black Panther Party. In questo modo il libro assolve da un lato un importante compito storico, riscrivendo rabbiosamente buona parte della cultura del jazz e dintorni (senza far sconti, tra gli altri, a Duke Ellington, Louis Armstrong, Jack Kerouac), dall’altro fornisce un’immagine di questa musica lontana dagli stereotipi, primo fra tutti quello del tecnicismo fine a sé stesso, per tracciare l’immagine di un genere musicale che si evolve (o involve, talvolta), in stretto rapporto con la società, alla ricerca di uno stile in cui forma e contenuto coincidano.
E infatti l’argomento più interessante è l’analisi del rapporto fra i musicisti (neri), il pubblico (nero) e l’industria (bianca): la storia di una musica forte (come è forte ogni espressione culturale che riflette la realtà che l’ha generata), pop e intelligente allo stesso tempo, che si confronta con un sistema che cerca di inglobarla e renderla inoffensiva. Altro che il punk/hardcore!
Free Jazz Black Power è una lettura stimolante (sicuramente il mio miglior libro degli ultimi mesi), appassionante e ancora molto attuale, piena di salutari tossine. Non manca qualche contraddizione, ma d’altra parte è coerente con lo spirito del blues, musica pura (tanto che molti jazzisti ne traggono ispirazione nei momenti di crisi del genere) eppure assolutamente bastarda (nascendo dall’incontro/scontro fra musica africana ed europea).


domingo, enero 05, 2003


Il CD che aspettavo per ravvivarmi il Natale è arrivato ai primi di Gennaio; poco male, resta comunque un disco fuori stagione. Se infatti l’inverno si adatta ai Madrigali Magri (vedi La Mini Blog del 2/02/03), il disco omonimo di A Modern Safari (Love Boat, 2002) andrebbe suonato in una mattina di primavera, come quella raffigurata sulla copertina.
Tanto per mantenere il family feeling proprio della Love Boat, A.M.S. è uno strano disco pop: “pop” nei suoni, negli intrecci vocali e nelle parole d’amore; “strano” nella struttura dei pezzi, lunghi e ricchi di passaggi strumentali, che ostinatamente sfiorano la noia per poi riaccendere improvvisamente l’interesse dell’ascoltatore.
Qui l’indie rock, che a un ascolto superficiale sembra farla da padrone, non è tanto un genere di riferimento, quanto il terreno su cui attecchiscono di volta in volta testimonianze di rock “classico”, che affiorano brevemente per poi dissolversi nel passaggio successivo. Così, alle tenui pennellate chitarristiche che, sovrapponendosi, vanno a costituire la struttura dei brani, si associano indissolubilmente tinte che rimandano via via ai R.E.M., ai Pink Floyd più pop, ai Beatles più intimisti (specie negli intrecci vocali), forse a tanti altri gruppi che non riconosco o non ho mai ascoltato; ma non mancano neppure inserti inattesi, come nell’assolo blues minimale di “Geometrical forms” o nella strumentale “Contemporary apples”, stupendo commento a un inesistente commedia italiana degli anni ’70, come avrebbe potuto scriverlo Piero Umiliani o Ennio Morricone.
Il risultato finale è un disco pop che non va ascoltato come un disco pop (richiede una soglia di attenzione superiore alla media…), fatto da ingenue canzoni d’amore composte e suonate con piglio da adulti. Un po’ come "Libera nos a Malo" di Luigi Meneghello; l’avete mai letto? Raccontare dei propri sedici anni senza far perderne la magia, la vitalità, l’entusiasmo, cose che spesso crescendo si abbandonano e invece, proprio "da grandi", possono assumere una nuova e utile prospettiva.


sábado, diciembre 28, 2002


Poca voglia di scrivere in questo periodo, oberato dal cibo natalizio (tortelli di zucca su tutto) e annoiato da visioni e ascolti non particolarmente stimolanti.
Fra quest’ultimi due CD “nuovi”, entrambi colonne sonore del jazzista argentino Lalo Schifrin: Bullitt e Dirty Harry Anthology.
Bullitt (Warner Bros, 1968), la più famosa delle due, delude nell’alternare ai momenti esaltanti altri che lo sono decisamente meno, raggiungendo a stento la sufficienza: alle ottime e ritmate “Hotel Daniels” e “Bullitt Theme”, si accostano brani jazz buoni per tutte le stagioni come orchestrazioni soffuse e un po’ generiche, che non stonerebbero in una commedia romantica. Trattandosi di una colonna sonora si può certamente giustificare il fatto che, semplicemente per esigenze di copione, ci siano delle diseguaglianze di toni, ma nell’economia dell’album la cosa si traduce in una fastidiosa disomogeneità.
Questo rischio non lo corre Dirty Harry Anthology (Aleph, 1998), che raccoglie una selezione di brani tratti da “Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo” del ’71, “Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan”, del ‘73 e “Coraggio…fatti ammazzare” del ’76; di questi solo il terzo vide pubblicata la sua colonna sonora, per cui la maggior parte dei brani qui presenti sono inediti.
Il lavoro è ineccepibile, si è dalle parti del capolavoro: jazz sempre presente sotto traccia, percussioni che prima impazzano e poi tacciono improvvisamente, chitarre che compiono rapide incursioni, basso che si effetta e sconfina nel funk, qua e là inserti di sirene, comunicazioni radio, sinistri cori femminili. Le composizioni che nascono, scarne e ruvide con solo rari attimi di pace, fissano i canoni dello score per il poliziesco anni ’70 e danno vita a uno stile cinematico e ultracool che farà numerosi proseliti (il James Taylor Quartet su tutti). Questo, tuttavia, il limite dell’operazione: l’esperto Schifrin, da anni al servizio degli studios, compone la colonna sonora perfetta, per certi versi più vera del vero, ma proprio per questo, paradossalmente, mancante di quel coefficiente di realtà che vivificava le contemporanee musiche di Shaft e Superfly. Nel suo genere, comunque, un capolavoro.


viernes, diciembre 13, 2002


Forse non tutti sanno che…YS dei napoletani Balletto di Bronzo (Polydor, 1972) è l’album prog italiano preferito da Jello Biafra, come si può leggere nell’intervista sul primo numero dell’ormai da anni defunto mensile Dynamo. Un acquisto dovuto, quindi, favorito anche dal prezzo a 5 euro e dal valore storico dell’opera: se non piace, e le possibilità sono molte, dato il mio scarso feeling col genere, è pur sempre una testimonianza di un momento particolarmente fertile della musica pop italiana. Ma YS piace e illumina.
Piace per la ruvidezza dei suoni e per l’essenzialità della struttura dei brani, orientati più al free rock che non a prolisse orchestrazioni pseudosinfoniche, armoniose e coerenti pur nel continuo mutare di atmosfera e velocità. Così nei cinque episodi dell’album (a cui si aggiunge, in questa ristampa, la posteriore "La tua casa comoda”), si rincorrono melodie arabeggianti filtrate dal moog, batterie in controtempo e cantati straniati da cui andranno a lezione i Panico di Scimmie, tastiere onnipresenti senza mai essere troppo invadenti, cavalcate di chitarra protometal.
Illumina, specie se accostato ad altri dischi del periodo (penso all’esordio degli Area, di un anno successivo), sulla natura del progressive, almeno di quello degli inizi: non genere codificato ma campo per sperimentazioni di segno diverso, dall’hard, al jazz, all’etnico, fino ai confini della musica classica, che poi ha costituito, infelicemente, il filone più seguito e conosciuto del genere.
Unico mistero che non mi svela, ma era davvero troppo chiederlo a un album, è come allora, in Italia, una musica così complessa e difficile potesse essere considerata pop. Certamente era pop, nel senso più profondo del termine, la riscoperta di suoni mediterranei (quindi popolari) che molti gruppi operarono, inserendoli poi nel contesto della musica leggera; ma se si intende “pop” come musica diretta al grande pubblico (e da esso accettata), come accade quando si associa il termine al progressive italiano, beh, come fosse possibile ancora non me lo spiego.

L’immagine più sublime di questi ultimi giorni: la curva della Juve in silenzio, ferma, scura quasi come non fosse illuminata, al termine di Brescia-Juve 2-0.


jueves, noviembre 28, 2002


E alfine ecco il tanto agognato capolavoro di Curtis Mayfield Superfy (qui in prescindibile edizione doppia della Rhino), a chiudere la triade di colonne sonore “famose” della blaxploitation. Un paio di pezzi li conoscevo già, i notissimi “Superfly” e “Pusherman”, ma l’impressione che dà l’album nell’insieme è abbastanza diversa, perchè ha un tale spessore da lasciare spiazzati, o almeno da richiedere una soglia di attenzione molto alta, per venire a capo di tutte le influenze che lo compongono. Se i generi “colonna sonora” e “soul” sono indubbiamente il punto di partenza e l’ossatura dell’opera, Mayfield vi innesta dosi massicce di funk (specie nelle linee di basso e nei fiati), suadenze e ruffianerie pop, aperture più rock e intuizioni futuristiche: dalle corde della chitarra sfregate che pervadono tutta "Junkie chase", che evolvendo dall’intro dell’hendrixiana “Voodoo chile”, anticipano lo scratch hip hop, fino ai passaggi strumentali di “Freddie’s dead”, che hanno fatto scuola a tutte le colonne sonore dei telefilm a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 (queste particolarità sono evidentissime nelle versioni strumentali contenute nel CD bonus, che poi sono le versioni effettivamente presenti nel film).
Qui la negritudine del suono, pur tenendo salde le sue radici, comincia a spaziare verso mille territori e in questo senso Superfly è certamente un album sottovalutato: non semplice capolavoro soul, ma album rock (nel senso più ampio del termine) che meriterebbe di essere studiato nelle scuole.
Nota di merito va poi ai testi socialmente impegnati e in contrasto coi contenuti della pellicola, a quanto pare (purtroppo la videocassetta è introvabile in Italia) una clamorosa apologia della cocaina. Ancora di recente, in un’intervista su Mucchio Selvaggio, Michael Franti degli Sparehead citava Mayfield fra le sue maggiori influenze.
Nota di demerito, invece, alla Rhino che, pur mettendo nell’edizione celebrativa per i 25 anni del film di tutto di più, non cita i musicisti impegnati nelle session. Maledizione!

E parlando di anniversari, festeggia il ventesimo la Dischord con una compilation celebrativa (anche se, in effetti, il ventennale cadeva nel 2000). Nell’occasione su Blow Up di novembre è comparsa una lunga chiaccherata a uno Ian McKaye un po’ scocciato (dalle continue interviste o dalle domande di Fabio Polvani?) ma sempre molto esaustivo nelle risposte e mai scontato, più ripiegato su sé stesso riguardo a certe questioni, tipo la politica, sempre entusiasta, quasi feroce, riguardo al suo gruppo e all’etichetta, sorprendentemente ottimista sul futuro degli Stati Uniti. Può essere interessante confrontare questa intervista con quella pubblicata sul numero 2.1 di enphasys (ma dovrete procurarvi una copia cartacea, dato che sul sito non è ancora in linea, oppure potete menarla ai redattori perché lo aggiornino!): la ‘zine risale giusto a cinque anni fa, l’intervista addirittura a 15, ma certe cose sono sempre attuali e alcuni argomenti ritornano. Ma per Dio, basta domande sullo Straight Edge!


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