[la Pagina del Capitano]

jueves, noviembre 28, 2002


E alfine ecco il tanto agognato capolavoro di Curtis Mayfield Superfy (qui in prescindibile edizione doppia della Rhino), a chiudere la triade di colonne sonore “famose” della blaxploitation. Un paio di pezzi li conoscevo già, i notissimi “Superfly” e “Pusherman”, ma l’impressione che dà l’album nell’insieme è abbastanza diversa, perchè ha un tale spessore da lasciare spiazzati, o almeno da richiedere una soglia di attenzione molto alta, per venire a capo di tutte le influenze che lo compongono. Se i generi “colonna sonora” e “soul” sono indubbiamente il punto di partenza e l’ossatura dell’opera, Mayfield vi innesta dosi massicce di funk (specie nelle linee di basso e nei fiati), suadenze e ruffianerie pop, aperture più rock e intuizioni futuristiche: dalle corde della chitarra sfregate che pervadono tutta "Junkie chase", che evolvendo dall’intro dell’hendrixiana “Voodoo chile”, anticipano lo scratch hip hop, fino ai passaggi strumentali di “Freddie’s dead”, che hanno fatto scuola a tutte le colonne sonore dei telefilm a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 (queste particolarità sono evidentissime nelle versioni strumentali contenute nel CD bonus, che poi sono le versioni effettivamente presenti nel film).
Qui la negritudine del suono, pur tenendo salde le sue radici, comincia a spaziare verso mille territori e in questo senso Superfly è certamente un album sottovalutato: non semplice capolavoro soul, ma album rock (nel senso più ampio del termine) che meriterebbe di essere studiato nelle scuole.
Nota di merito va poi ai testi socialmente impegnati e in contrasto coi contenuti della pellicola, a quanto pare (purtroppo la videocassetta è introvabile in Italia) una clamorosa apologia della cocaina. Ancora di recente, in un’intervista su Mucchio Selvaggio, Michael Franti degli Sparehead citava Mayfield fra le sue maggiori influenze.
Nota di demerito, invece, alla Rhino che, pur mettendo nell’edizione celebrativa per i 25 anni del film di tutto di più, non cita i musicisti impegnati nelle session. Maledizione!

E parlando di anniversari, festeggia il ventesimo la Dischord con una compilation celebrativa (anche se, in effetti, il ventennale cadeva nel 2000). Nell’occasione su Blow Up di novembre è comparsa una lunga chiaccherata a uno Ian McKaye un po’ scocciato (dalle continue interviste o dalle domande di Fabio Polvani?) ma sempre molto esaustivo nelle risposte e mai scontato, più ripiegato su sé stesso riguardo a certe questioni, tipo la politica, sempre entusiasta, quasi feroce, riguardo al suo gruppo e all’etichetta, sorprendentemente ottimista sul futuro degli Stati Uniti. Può essere interessante confrontare questa intervista con quella pubblicata sul numero 2.1 di enphasys (ma dovrete procurarvi una copia cartacea, dato che sul sito non è ancora in linea, oppure potete menarla ai redattori perché lo aggiornino!): la ‘zine risale giusto a cinque anni fa, l’intervista addirittura a 15, ma certe cose sono sempre attuali e alcuni argomenti ritornano. Ma per Dio, basta domande sullo Straight Edge!


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